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   Rocca d'Evandro
  
   
           
  
       
      I - I primi secoli 
        
      Nel dare avvio a una raccolta di notizie su questa località 
      della Diocesi, si deve notare anzitutto che quanto verrà esposto concerne 
      essenzialmente il nucleo storico raccolto ai piedi della rocca, e non le 
      attuali frazioni di Cocuruzzo, Mortola e Camino, che ebbero nei secoli 
      scorsi vita propria, con documentazione distinta da quella di Rocca di 
      Vandra, o d'Evandro, come si chiama attualmente, con una alterazione già 
      in uso nel tardo Cinquecento, forse dovuta a un abbellimento di tipo 
      umanistico. Questa forte posizione montana, a guardia con altre 
      dell'accesso a Napoli, deve anzitutto essere distinta nettamente 
      dall'altra omonima, situata presso il Gari, di fronte a S. Ambrogio, e 
      rimasta disabitata a partire dal secolo XVI. Le relative documentazioni 
      sono bene distinte, ma gli equivoci sono pure facili, data la fondamentale 
      omonimia, poiché anche per il centro in pianura si trattava di un castello 
      il «castrum Bantrae». Nella conferma dell'anno 1057 dei possessi di 
      Montecassino, fatta dal pontefice Vittore II, sono comprese ambedue le 
      Vandre: Bandra Comitalis (che è la nostra) e Bandra Monacisca, quella in 
      piano, separata dalla precedente anche dal fiume. Pure sulle
      
      lamine 
      bronzee della porta principale della basilica di Montecassino, è fatta 
      menzione delle due località; precisamente nel battente di sinistra con le 
      lamine più antiche (sec. XI-XII). Si legge infatti nella terza lamina 
      dall'alto, della prima fila di sinistra: CUCURUZZU CAMINUS S. IOANNES DE 
      CURRENTI / CASPULI ROCCA DE VANDRA, VANDRA. In tale elenco sono 
      espressamente menzionate le località di pieno dominio della badia, sia 
      religioso che civile, ma per Rocca di Vandra il possesso non fu troppo 
      pacifico, data la sua forte posizione militare, e l'intrecciarsi dei 
      diritti di possesso dei feudatari della regione. Così nel 1091 Pandolfo 
      conte di Teano, ma con sede a Presenzano, cedette a Montecassino la sua 
      parte di Rocca di Vandra, Mortola e Cocuruzzo, ricevendo in compenso 
      dall'abate Oderisio 96 libbre d'oro, quindi un indennizzo abbastanza 
      consistente, e nel 1097 Landenolfo conte di Presenzano donava pure la sua 
      parte dei medesimi castelli. Inoltre nel 1101 il medesimo Landenolfo 
      cedeva la Rocca di Camino, soprastante quella di Vandra, con tutte le sue 
      pertinenze. Queste cessioni, come avverte il Fabiani nel suo oramai 
      classico lavoro sulla Terra di S. Benedetto, per lo più intendevano sanare 
      una situazione di fatto, in quanto le località in questione erano state 
      tolte ai signori Longobardi dai sopravvenuti Normanni, e quindi a 
      Montecassino si mirava ad evitare rivendicazioni da parte degli eredi che 
      conservavano, almeno in linea di principio, dei diritti sui possessi d'un 
      tempo. Nel 1107 Riccardo dell'Aquila, duca di Gaeta, conte di Sessa, Pico 
      e Suio, giurava fedeltà all'abate Ottone e s'impegnava a difendere la 
      terra di S. Benedetto, della quale nel documento relativo, vengono 
      nominate le località principali, e tra esse Rocca di Vandra e Rocca 
      Monacesca. Ma ancora nel 1116 vi furono cessioni a favore di 
      Montecassino, da parte di Laidolfo figlio di Pandolfo conte di Teano, 
      concernenti Mortola, Rocca di Camino e Rocca di Vandra, e come avverte il 
      Fraja-Frangipane, il pieno possesso della località fu realizzato solo nel 
      1122. Nell'amplissimo diploma di conferma di tutti i beni di Montecassino, 
      elargito nel 1137 dall'imperatore Lotario III, diploma che fu preparato, 
      con la massima estensione dei diritti della badia, dall'archivista Pietro 
      Diacono, sono pure comprese le due Vandre, in un insieme che comprendeva 
      47 castelli e 560 chiese e monasteri. Ruggero II divenuto re di Sicilia, 
      con riconoscimento e investitura da parte del Papa, nel 1140 saliva a 
      Montecassino, cui concedeva con atto apposito Rocca di Vandra, privando 
      tuttavia il monastero di Pontecorvo, Piedimonte, Cardito e Camino. Il 
      possesso della Rocca non era quindi propriamente pacifico; i vari regnanti 
      lo confermavano, o magari lo toglievano, come si vedrà più oltre. In ogni 
      modo è bene notare col Fabiani che l'anno 1140, con l'avvento della 
      monarchia normanna, segna la fine dell'indipendenza politica di 
      Montecassino e della sua espansione territoriale, in quanto Ruggero II 
      fece espresso divieto ai feudatari del Regno, di alienare o donare i loro 
      beni. Estintasi la dinastia normanna nel 1190, ripresero le lotte per la 
      successione. Tancredi conte di Lecce, figlio naturale di Ruggero di 
      Puglia, fu incoronato re, con l'approvazione del papa Clemente III. Il 
      nuovo re chiese ai baroni di Terra  di Lavoro il debito giuramento di 
      fedeltà; quindi anche l'abate e cardinale Roffredo dell'Isola giurò, e ne 
      fu gratificato con la cessione della Rocca di Vandra, che pure nel 1140 
      era stata assegnata a Montecassino. Tuttavia questa volta venne unita anche 
      l'altra forte posizione di Rocca Guglielma (Esperia), sul lato opposto del 
      dominio cassinese. Seguirono anni di conflitti, che devastarono ampiamente 
      la regione, tra i partigiani del re Tancredi e quelli dell'imperatore 
      Enrico IV, che aveva in moglie Costanza figlia di Ruggero II, che il 
      defunto Guglielmo II, privo di discendenza, aveva designata a succedergli. 
      L'abate e cardinale Roffredo si pose a fianco di Enrico VI nella 
      spedizione imperiale del 1194, che si concluse vittoriosamente in Sicilia. 
      Sotto il breve governo di Pietro III (1210-1211), succeduto a Roffredo, 
      gli abitanti di Rocca di Vandra assunsero il compito di protagonisti, e 
      non più di oggetto di decisioni dall'alto, ribellandosi alla badia, 
      facendo prigioniero il rettore cassinese, e chiedendo al nuovo re 
      Federico II un altro signore. Fu mandato per l'occasione Giovanni Russo di 
      Gaeta. L'abate Atenolfo, succeduto a Pietro, cercò di riprendere con le 
      armi la rocca, ma non vi riuscì, e solo indennizzando il Russo con una 
      cospicua somma, e dandogli in moglie una nipote, potè ricuperare 
      l'importante posizione. Il belligero abate non avendo ottemperato al 
      precetto papale di smantellare le rocche del suo dominio, fu fatto 
      prigioniero. Nel frattempo il nipote Miraddo, che dimorava a S. Germano, 
      andò a chiudersi in Rocca di Vandra, ov'era rettore un suo cugino, e di là 
      danneggiava le terre della badia. Ottenuta con queste rappresaglie la 
      liberazione dello zio, che fu mandato a reggere S. Benedetto di Capua e S. 
      Angelo in Formis, cedette spontaneamente la rocca al nuovo abate Stefano 
      de' Marsi (1215-1227), scelto da Innocenzo III tra otto nomi di candidati 
      a lui sottoposti. Ma le vicende della Rocca continuarono. Così quando 
      nel 1220 Federico II venne incoronato a Roma imperatore di Germania, 
      l'abate Stefano fu pure presente, e sentì chiedersi per l'occasione, la 
      restituzione di Rocca di Vandra e Atina. All'abate non restò che 
      ottemperare all'imperiale precetto. Nelle successive lotte dell'imperatore 
      con la Chiesa, sanate momentaneamente dalla pace di S. Germano (Cassino) 
      del 1230, l'abbazia perse pure il dominio su Rocca Janola, passata al 
      Demanium Regis, malgrado l'impegno espresso dal sovrano, nella 
      circostanza, di restituire i beni ecclesiastici usurpati. Nella ripresa 
      delle ostilità del 1239 i monaci furono pure allontanati da Montecassino, 
      salvo otto per l'ufficiatura, e la badia fu convertita in fortezza per 
      circa ventisei anni. Tutta la regione venne messa in assetto di guerra 
      che, tra varie vicende, si concluse per quanto concerne Monteccasino, 
      nell'anno 1266 con l'espugnazione di S. Germano, da parte delle forze 
      angioine. A quel tempo era abate il francese Bernardo I Ayglerio, già 
      abate di Lerino, nominato da Urbano IV nel 1263, ma con governo effettivo 
      dal 1266. Egli accolte festosamente nella badia Carlo d'Angiò, suo 
      parente, e si pose all'opera per restaurare gli edifici e la disciplina 
      interna del monastero, riorganizzando pure lo sconvolto dominio 
      territoriale. Dell'opera dell'abate Bernardo (1263-1282), per ristabilire 
      i diritti della badia nei vari centri che ne dipendevano, si è avuto 
      occasione di trattare ripetutamente, ma per quanto concerne Rocca di 
      Vandra la documentazione sopravvissuta è alquanto incompleta. Anzitutto si 
      nota nei Regesti del medesimo abate, pubblicati nello scorso secolo, 
      un'assenza quasi totale di atti concernenti la nostra località, che figura 
      solo in due occasioni piuttosto marginali, mentre non si trova la 
      convocazione dei rappresentanti del luogo, sia per l'Inquisizione o 
      inchiesta sui diritti della badia, sia per ascoltare la relativa sentenza 
      a S. Germano, con atto pubblico e vincolante giuridicamente. Si può 
      aggiungere che nel Registrum II Bernardi, datato 1273, ma trascritto nel 
      secolo XV si fa menzione espressa di una Inquisizione « super luribus 
      redditibusque et fructibus debitis ab ipsa Universitate (Rocce Bantre) », con l'elenco delle varie prestazioni e obblighi, sul tipo degli altri 
      congeneri, già più volte ricordati per altre località. Nel registro ora 
      citato sono riportate le sole conclusioni dell'Inquisizione, e questo si 
      spiega perché è quanto interessava conoscere e avere a portata di mano. Si 
      può supporre quindi che la sentenza per la nostra località sia stata resa 
      effettiva, anche se non sono reperibili gli atti relativi. Del resto 
      nell'edizione a stampa già ricordata, il sottotitolo avverte: «Fragmenta 
      quae supersunt», facendo capire che vi è più di una lacuna, nella pure 
      accurata e preziosa pubblicazione fattane. E' significativo, tuttavia, che 
      alla fine del citato Regesto II,  quello trascritto nel sec. XV, si trova 
      un elenco delle prestazioni dovute, evidentemente all'epoca del 
      trascrittore, e in esso si legge: «Universitas Roche bandre tenetur pro 
      sacra et dono Novo Prelato Casin. in unc. una et tarenos decem. 
      Archipresbyter dicte Roche tenetur per sacra et dono novo prelato Casin. 
      in uncia una». Si può supporre che questa nota concerna la situazione 
      successivamente configuratasi con la sopravvivenza della sola 
      giurisdizione spirituale. Troviamo infatti che nel 1326 comincia il 
      periodo degli abati vescovi venuti di fuori, spesso neppure residenti, che 
      si conclude nel 1366. Di più nel 1349 vi fu il celebre terremoto, che 
      segna un'epoca della storia della badia, senza contare le frequenti guerre 
      nella regione, compresi pure i saccheggi del monastero. In tutto questo 
      turbinare di poco liete vicende, il dominio cassinese fu variamente 
      manomesso, e Rocca di Vandra ne offre un esempio. I registri dei 
      collettori delle decime di questo tempo, ci offrono all'anno 1325, i nomi 
      delle chiese della Rocca soggette a tale tributo. Oltre la chiesa 
      arcipretale della quale è taciuto il nome, nominano le chiese di S. 
      Margherita e di S. Croce. La prima delle due sarà più volte menzionata 
      anche in seguito, e vale la pena di notare che all'epoca ora indicata ne 
      era beneficiario un sacerdote di S. Germano. Nella fase di ripresa della 
      badia, dopo il ristabilimento degli abati regolari, voluto da Urbano V, 
      nel regesto di Andrea da Faenza (1369-1373), si parla solo di 
      giurisdizione spirituale, con gli obblighi più sopra registrati. 
      Obblighi analoghi si trovano nel Registro II del romano Pietro de Tartaris 
      (1374-1395), succeduto ad Andrea da Faenza. Così leggiamo: «A Capitulo 
      Rocce Bantre. Dictum capitulum tenetur dare camerae casinensi anno 
      quolibet pro prandio seu visitatione tarenos XXI». La medesima tassa è 
      menzionata nel Registro II dell'Abate Errico Tomacelli ( 1396-1413) 
      confermando la nuova situazione. Anche nel poco felice cinquantennio della 
      commenda, cominciato nel 1454, col cardinale Ludovico Scrampo, troviamo 
      all'anno 1459: «La Rocha de Vandra cioè larciprete cum lo capitolo de 
      pagare duc. quattro tar. uno », vale a dire la stessa somma, in quanto 
      il ducato comprendeva cinque tarì. La fine del regime della commenda, e 
      l'avvento della Congregazione Cassinese (a. 1504), non mutano più i 
      termini di questi obblighi, circoscritti alla sola giurisdizione 
      spirituale, ma con i nuovi dirigenti, più animati da spirito pastorale, il 
      controllo delle chiese dipendenti e del relativo clero diviene frequente 
      ed effettivo, abbastanza prima dei decreti del Concilio di Trento, come si 
      è già visto per le località contermini, e come lo si vedrà nei capitoli 
      successivi per il tema preso in esame. 
        
      A. Pantoni, 
      Roccadevandro, I, «Bollettino Diocesano» di Montecassino,  
      Anno XXXIV, 1/1979, pp 69-75. |           |